martedì 27 luglio 2010

Intervista: Shaun Tan

Dopo una lunga assenza torna Luigi Comics Corner con una chicca, un'intervista con l'illustratore australiano Shaun Tan, realizzata a sei mani con Ferdinando Maresca e Valerio Stivè per Lospaziobianco.it


Com'è ini­ziata la tua pas­sione per il dise­gno e quando hai deciso di farne una pro­fes­sione?
Bé, come la mag­gior parte degli arti­sti (e delle per­sone in gene­rale), non ricordo quando ini­ziai a dise­gnare — direi appena ho potuto tenere in mano una matita. Avevo una vaga con­sa­pe­vo­lezza di essere bravo a dise­gnare per essere un bam­bino, così circa dall’età di cin­que anni, fui in grado di ripro­durre con fedeltà e con una certa somi­glianza le cose che vedevo, sia nella vita reale sia nella televisione e nei film. I miei geni­tori e i miei amici mi inco­rag­gia­rono molto, così ho con­ti­nuato a svi­lup­pare que­ste capa­cità da bam­bino e durante l'adolescenza.
Comun­que non ho sem­pre voluto diven­tare un’artista, soprat­tutto per­ché avevo l’impressione di dover avere un vero lavoro per stare al mondo, e dise­gnare e dipin­gere per gua­da­gnarsi da vivere non era un vero lavoro. Sono anche cre­sciuto senza cono­scere nes­sun arti­sta, quindi fare l’artista era un po’ un con­cetto astratto. Avevo anche altri inte­ressi, spe­cial­mente scienze, sto­ria e letteratura. Volevo diven­tare un pit­tore? Non ne ero sicuro. E’ stato sol­tanto quando ho finito la lau­rea in arte che ho rea­liz­zato di non essere qua­li­fi­cato per nient’altro oltre alla pit­tura, avendo fatto alcuni lavori free-lance per rag­gra­nel­lare soldi. Decisi di con­cen­trarmi sull’illustrazione come car­riera a tempo pieno, comin­ciando a por­tare agli edi­tori il mio port­fo­lio. Il lavoro all’inizio era lento, ma dopo un po’ ebbi clienti fissi, e rea­liz­zai che sì, puoi fare una vita decente dise­gnando e dipin­gendo imma­gini dopo­tutto. Puoi per­fino dare voce ai tuoi inte­ressi e alla tua espressività.

Quali sono i tuoi arti­sti di rife­ri­mento come scrit­tore e quali come dise­gna­tore?
E’ inte­res­sante che tu separi autori e arti­sti come influenze pro­ve­nienti da disci­pline diverse. Credo che que­sto sia par­zial­mente vero, ma gli scrit­tori inci­dono anche sul mio modo di dipin­gere e alcuni arti­sti influi­scono sul mio modo di pen­sare la nar­ra­tiva. Forse i più impor­tanti sono quelli che fanno entrambe le cose, certi crea­tori di libri illu­strati, arti­sti del fumetto e regi­sti (tutte mate­rie molto simili). Ce ne sono let­te­ral­mente cen­ti­naia, ma per nomi­nare alcuni scrittori-illustratori: Ray­mond Briggs, Edward Gorey, Mau­rice Sen­dak, Chris Ware, Chris Van All­sburg. Tra gli arti­sti includo molti pit­tori austra­liani di pae­saggi, e un sacco di pit­tori moder­ni­sti euro­pei e ame­ri­cani, dall’impressionismo alla pop art, così come i “vec­chi mae­stri” che spesso trat­tano l’immaginario nar­ra­tivo e l’idea del sublime del dician­no­ve­simo secolo. Tra gli scrit­tori che mi hanno ispi­rato ci sono: Ray Bradbury quando ero un ado­le­scente, e più tardi gli scrit­tori austra­liani Tim Win­ton e Peter Carey. Con­ti­nuo a essere attratto dal romanzo breve sur­rea­li­sta e dal rea­li­smo magico.

Hai col­la­bo­rato come cha­rac­ter desi­gner al Film WallE, rac­con­taci qual­cosa di que­sta espe­rienza.
Ho rea­liz­zato alcuni schizzi e dise­gni pre­pa­ra­tori, pre­sen­tando idee per diversi pae­saggi al dipar­ti­mento arti­stico Pixar. L’ambito su cui mi sono con­cen­trato prin­ci­pal­mente è stato il pia­neta terra sepolto dai rifiuti e l’interno della vasta nave spa­ziale, seb­bene all’epoca le indi­ca­zioni fos­sero dif­fe­renti, non c’erano per­so­naggi umani nella sce­neg­gia­tura. C’era anche un ela­bo­rato mondo robo­tico sot­ter­ra­neo per il quale ho fatto degli schizzi, ma che alla fine non hai mai tro­vato spa­zio nel film.

La fisio­no­mia di WallE ricorda quella dell’E.T. creato da Carlo Ram­baldi e quella del robot pre­sente nel film Corto Cir­cuito. Sai se que­sti per­so­naggi, entrati nell’immaginario col­let­tivo, sono stati di rife­ri­mento nel pro­cesso crea­tivo?
Sin­ce­ra­mente non saprei che dire, non ho avuto niente a che fare con il design dei per­so­naggi! Ma per rispon­dere in gene­rale, le cose rea­liz­zate diven­tano parte dell’immaginario comune, e tutti poi ne attingono.

Hai rea­liz­zato un cor­to­me­trag­gio ani­mato con Pas­sion Pic­tu­res inti­to­lato “The Lost Thing”, basato su una delle tue sto­rie brevi che hanno rice­vuto una men­zione d’onore alla Fiera Internazionale del libro di Bolo­gna. Com’è comin­ciata que­sta col­la­bo­ra­zione? Puoi pre­sen­tare ai let­tori ita­liani “The Lost Thing”?
E' una sto­ria in appa­renza abba­stanza sem­plice, su un ragazzo che vive in una città molto indu­striale e sco­pre una strana crea­tura sulla spiag­gia, qual­cosa di simile a un grande mac­chi­na­rio, un gran­chio o un polpo. Il ragazzo decide di adot­tare la crea­tura e que­sto por­terà a una serie di pro­blemi impre­vi­sti. “The Lost Thing” fun­ziona sia come una sto­ria per bam­bini che come una fiaba per adulti su buro­cra­zia e apa­tia, non­ché come una rifles­sione filo­so­fica sulla natura del senso di appartenenza.

L’Approdo” è una sto­ria uni­ver­sale, rac­con­tata attra­verso illu­stra­zioni che comu­ni­cano effi­ca­ce­mente con let­tori di tutte le età. Com'è nata l’idea di rac­con­tare que­sta sto­ria e come ti sei orga­niz­zato per le diverse fasi di lavo­ra­zione?
Que­sta è una bella domanda! L’idea si è svi­lup­pata gra­dual­mente, ini­ziando da una pila di schizzi dav­vero poco chiari, che riguar­da­vano prin­ci­pal­mente una figura che tra­spor­tava una vali­gia in un luogo biz­zarro. L’idea sem­brava risol­versi da sola in una sto­ria sull’immigrazione, per­ciò pas­sai un po’ di tempo docu­men­tan­domi sull’argomento e venen­do­mene fuori con l’idea di rac­con­tare una sto­ria “uni­ver­sale” di fan­ta­sia su un migrante, che potesse con­te­nere ele­menti delle molte diverse sto­rie di vita reale che stavo leg­gendo. Pia­ni­fi­cai in det­ta­glio varie e diverse ver­sioni del libro, di dif­fe­rente durata, in diversi stili, e feci molta fatica cer­cando di tro­vare quella giu­sta. Ma que­sta fase di “ricerca e svi­luppo” è abba­stanza nor­male per me, e tra­scorro alcuni mesi facendo brain­stor­ming prima di tro­vare qual­cosa d’interessante (e a volte non del tutto).
Ma una volta che ho deli­neato la sto­ria, e ho tro­vato uno stile che mi sem­bra il più appro­priato per il tema, sono meto­dico per quanto riguarda la pro­du­zione di ogni pagina d'illu­stra­zioni, sep­pure non in ordine, e cam­biando spesso idea su strut­tura e det­ta­gli. Ho pro­ba­bil­mente dise­gnato l’intero libro circa quat­tro volte prima di sen­tirmi sod­di­sfatto del risul­tato come nar­ra­zione visiva.

L’impostazione che hai dato a “L’Approdo” è quella di un vec­chio album di foto­gra­fie, quasi un libro di memo­rie da sfo­gliare per rivi­vere espe­rienze pas­sate eppure estre­ma­mente attuali. C’è qual­cosa di auto­bio­gra­fico in quest’opera?
Non pro­prio. Almeno non auto­bio­gra­fico; il per­so­nag­gio prin­ci­pale della sto­ria ha un aspetto simile al mio, e più o meno agi­sce nel modo in cui potrei agire io nella stessa situa­zione ano­mala, ma qui fini­scono le somi­glianze. Una delle sto­rie d’immigrazione a cui ho pen­sato molto men­tre lavo­ravo al libro è stata quella di mio padre, che venne in Austra­lia occi­den­tale dalla Male­sia come stu­dente nel 1960, in seguito sposò mia madre e rimase qui. Alcune delle sue osser­va­zioni e manie­ri­smi influen­zano le mie imma­gini (e lui appare nel libro come per­so­nag­gio, affig­gendo locan­dine). A parte que­sto, vari pezzi e fram­menti pos­sono essere ricon­dotti a com­menti fatti da diversi migranti, in rela­zione a cibo, lavoro, lin­gua, allog­gio, clima, situa­zioni da evi­tare e così via, oltre alle fonti di peri­colo o oppres­sione nella loro terra natale.

Sai se gli edi­tori ita­liani hanno in pro­gramma di pub­bli­care in Ita­lia le tue opere pre­ce­denti a “L’Approdo”?
Non saprei, ma non credo. Sicu­ra­mente sarei felice se acca­desse, dato che libri come Lost Thing, The Rab­bits e The Red Tree sono impor­tanti come L’Approdo, inol­tre ci sono con­nes­sioni tema­ti­che inte­res­santi fra tutti i miei lavori.

L’Approdo” e’ stato con­si­de­rato uno dei libri migliori del 2008 da gran parte della cri­tica di tutto il mondo. Credi che que­sta con­si­de­ra­zione possa influen­zare il tuo approc­cio alla rea­liz­za­zione dei pros­simi libri? Hai rice­vuto molte offerte dagli edi­tori?
Sì, per me la con­se­guenza prin­ci­pale riguarda il modo in cui gli altri per­ce­pi­scono il mio lavoro. Non penso che que­sto influenzi il mio giu­di­zio o il mio spi­rito cri­tico più di tanto. Ovvia­mente gli edi­tori vor­reb­bero che tu uscissi con una serie di libri di suc­cesso, senza nes­sun calo d’interesse, ma sfor­tu­na­ta­mente non è così facile! Tendo a lavo­rare molto len­ta­mente e un sacco delle mie idee non sono quelle dav­vero buone. Non voglio cadere nella trap­pola di lasciare agli altri la scelta del tipo di lavoro che finirò col fare, o pro­vare a com­pia­cere un pub­blico imma­gi­na­rio. For­tu­na­ta­mente la mia vita lavo­ra­tiva non è cam­biata molto, ci sono sem­pre solo io da solo in una pic­cola, disor­di­nata stanza! Non posso imma­gi­nare di pro­durre un altro libro come l’Approdo tanto pre­sto, se pro­prio, dipende sola­mente dall’avere la giu­sta idea al momento giu­sto e tro­vare una “voce” che funzioni.

Credo che “L’approdo” abbia molti livelli d’interpretazione e pre­senti molti sim­boli e meta­fore. Uno degli ele­menti più affa­sci­nanti sono gli strani ani­mali. Puoi dirci qual­cosa a pro­po­sito di que­sto ele­mento, o da dove venga l’ispirazione per la crea­zione di quelle affa­sci­nanti e strane figure?
Fon­da­men­tal­mente essa nasce dal fatto che gli ani­mali sono spesso uti­liz­zati per sim­bo­leg­giare dif­fe­renze cul­tu­rali o d’identità, spe­cial­mente qui in Austra­lia, dove siamo per­lo­più carat­te­riz­zati dal nostro pae­sag­gio natu­rale. Gli ani­mali sono un tema ricor­rente nel mio lavoro, trovo la rela­zione fra gli ani­mali e i loro padroni infi­ni­ta­mente affa­sci­nante. Mi pia­ceva l’idea che un ani­male possa rap­pre­sen­tare qua­lun­que cosa ci sia da dire su temi riguar­danti dif­fe­renza cul­tu­rale, pro­blemi di comu­ni­ca­zione, ami­ci­zia e appro­va­zione , che è quello di cui parla in realtà L’approdo.

Pic­cole Sto­rie di Peri­fe­ria” è un’antologia di rac­conti brevi all’interno della quale tratti diverse tema­ti­che e uti­lizzi vari stili gra­fici. Eppure quest’opera rie­sce a risul­tare coe­rente e orga­nica, come ci sei riu­scito?
Que­sta è una domanda inte­res­sante, per­ché per tutto il tempo mi sono chie­sto se que­ste sto­rie fos­sero con­nesse tra loro o del tutto indi­pen­denti. Effet­ti­va­mente ho rea­liz­zato ognuna di esse sepa­ra­ta­mente, ma nello stesso periodo di tempo, così sup­pongo che le stesse pre­oc­cu­pa­zioni siano fil­trate den­tro ad ognuna di que­ste pic­cole opere. Inol­tre ho basato l’atmosfera gene­rale di ogni sto­ria sui miei ricordi di cre­scita nei sob­bor­ghi della peri­fe­ria austra­liana — e in Perth, una delle città più iso­late del mondo. Que­sto ha por­tato auto­ma­ti­ca­mente a una certa coe­renza, tutte loro ven­gono dallo stesso luogo della mia imma­gi­na­zione; e anche se cam­bio stile, sto sem­pre lavo­rando nello stesso modo, come modo di pensare.

Le “Pic­cole Sto­rie di Peri­fe­ria” si svi­lup­pano spesso in ambienti sur­reali. Da dove nasce l’ispirazione per que­sto tipo d’atmosfera?
Varia da sto­ria a sto­ria, ma fon­da­men­tal­mente parto sem­pre dalla domanda “cosa acca­drebbe se?”. Prendo qual­cosa di dav­vero ordi­na­rio, come un ambiente urbano fami­liare, e intro­duco un ele­mento biz­zarro, come un mam­mi­fero marino, o un mis­sile, o una renna cieca, spesso sbu­cati fuori da veri e pro­pri inci­denti nel mio qua­derno degli schizzi. Allora cerco di risol­vere ogni situa­zione con una qual­che spe­cie di spie­ga­zione, senza inter­fe­rire con la magia o il mistero pre­senti in esse. A volte fun­ziona e a volte no.

Fra que­sti rac­conti ce n’è uno a cui sei par­ti­co­lar­mente legato? Come mai?
Mi sento legato a diverse sto­rie per diversi motivi. Una sto­ria che mi tra­smette “auten­ti­cità” è la penul­tima, che rac­conta di due fra­telli che cer­cano di sco­prire cosa ci sia sul con­fine di una car­tina dei sob­bor­ghi.
Incor­pora molte delle mie sen­sa­zioni riguardo al cre­scere nei sob­bor­ghi; e i pro­ta­go­ni­sti nella sto­ria siamo essen­zial­mente mio fra­tello e io da bambini.

In “Pic­cole Sto­rie di Peri­fe­ria” hai inse­rito diversi ani­mali: un bufalo, un dugongo, una renna, una pro­ces­sione di cani e alcune tar­ta­ru­ghe da sal­vare. Hai una par­ti­co­lare atten­zione o inte­resse per il mondo degli ani­mali?
Come per la domanda riguar­dante le crea­ture pre­senti in “L’Approdo”, c’è una spe­cie di silen­ziosa con­sa­pe­vo­lezza negli ani­mali che sem­bra sfug­gire alla mag­gior parte di noi impe­gnati dalle nostre fre­ne­ti­che vite moderne. Io non penso che gli ani­mali man­chino di intel­li­genza, sem­pli­ce­mente hanno dei dif­fe­renti tipi di intel­li­genza, e hanno molto da inse­gnare all’uomo su come vivere.

Ci puoi dire qual­cosa sulle tue tec­ni­che di dise­gno? Il tuo stile in “L’approdo” è impres­sio­nante e sem­bra dav­vero il risul­tato di una grande evo­lu­zione.
Il pro­blema dello stile, anche cono­sciuto come “voce”, è spesso il pro­blema più dif­fi­cile per me, e se risolto, tutti i pezzi vanno al posto giu­sto. All’inizio ero par­ti­co­lar­mente attratto dallo stile dei per­so­naggi sem­pli­fi­cati di Ray­mond Briggs, dalle forme arro­ton­date e dagli occhi pun­ti­formi, che erano ancora in grado di pos­se­dere la gra­vità di per­sone reali in situa­zioni reali. In realtà ho tra­scorso circa sei mesi lavo­rando a l’Approdo in uno stile sem­pli­fi­cato, una spe­cie di via di mezzo tra il rea­li­smo e un car­toon. Ma non è stato imme­diato per me nel senso che ho sen­tito che quel mondo non era con­vin­cente. In fondo alla mia mente, ho ini­ziato a pen­sare “Non sarebbe fan­ta­stico se tutto nel libro appa­risse come una vera car­to­lina foto­gra­fica da que­sto mondo” ma la capa­cità tec­nica per fare que­sto sem­brava lon­tana da far paura!
Alla fine, ho pro­vato uno stile più foto­gra­fico, usando atten­ta­mente foto­grammi video come rife­ri­mento, e ho rea­liz­zato che que­sto non era sol­tanto più con­vin­cente dal punto di vista nar­ra­tivo, ma anche più effi­ciente per quanto riguarda la pro­du­zione di un insieme di imma­gini coe­rente (dove i vestiti, le luci, i volti dei per­so­naggi e così via fos­sero coe­renti). Ho rea­liz­zato che il pro­getto che avevo in mente aveva più a che fare con i film muti che con i libri illu­strati (il mio medium abi­tuale), e quindi mi sono acco­stato alla sto­ria come a una spe­cie di film. A dire il vero ho fil­mato sequenze usando fami­glia e amici come attori, e ho creato “sce­no­gra­fie” appros­si­ma­tive (più tardi tra­sfor­mate sul tavolo da dise­gno) con figu­rini e sca­tole di car­tone. Per ogni pagina del libro ho rea­liz­zato lo sto­ry­board della scena, orga­niz­zato riprese per luo­ghi e momenti della gior­nata, cer­cato oggetti e vestiti appro­priati, discusso ogni scena con gli “attori”, fil­mato doz­zine di brevi sequenze, iso­lato i migliori foto­grammi e usato que­sti come base per ogni pan­nello. Ho anche rea­liz­zato pic­coli modelli di crea­ture e oggetti (come le bar­che volanti) che ho potuto foto­gra­fare come rife­ri­mento — luce, ombra, tex­ture, pro­spet­tiva, e unirli in scene con pae­saggi e persone. Se sin dall’inizio avessi pen­sato a que­sto modo di lavo­rare, avrei rispar­miato un sacco di tempo e pre­ve­nuto un po’ di mal di testa! Seb­bene que­sto sia suc­cesso con ogni libro che ho fatto; ini­zio lavo­rando con uno stile, e fini­sco facendo qual­cosa di molto diverso, in fun­zione delle esi­genze della sto­ria, e deve suc­ce­dere attra­verso un’evoluzione. L’inizio è sem­pre dif­fi­cile per me, e lo slan­cio nasce una volta che ho risolto i pro­blemi stilistici.

Noi ita­liani non sap­piamo molto del mondo del fumetto e dell’illustrazione austra­liani. C’è una grande scena o e’ dif­fi­cile diven­tare un pro­fes­sio­ni­sta? Puoi segna­larci autori o illu­stra­tori austra­liani che meri­tano atten­zione?
Non è una grande scena, tut­ta­via ha matu­rato espe­rienza per un po’ e attual­mente è in cre­scita e gode di mag­gior atten­zione da parte della cri­tica rispetto al solito. Io mi sento come un nuovo arri­vato nel fumetto (con­si­de­ran­domi più un illu­stra­tore e pit­tore), quindi per ora non so ancora gran­ché di que­sto mondo. Sem­bra che molti fumet­ti­sti austra­liani lavo­rino su pro­getti ame­ri­cani o fran­cesi, in que­sto senso noi siamo un po’ un satel­lite, non sono a cono­scenza di nes­sun edi­tore locale di fumetti. Un fumetto inte­res­sante recen­te­mente pub­bli­cato è l’adattamento de Il Grande Gatsby di Nicky Green­berg, dove l’autrice ha dise­gnato tutti i per­so­naggi della sto­ria come mostri. Un altro fumetto in uscita a breve e rea­liz­zato da un mio amico, Nathan Jure­vi­cius (canadese/australiano), s’intitola “Sca­ry­Girl” — sel­vag­gia­mente fan­ta­stico e sicu­ra­mente da tenere d’occhio.

Ferdinando Maresca, Valerio Stivè, Luigi Filippelli


Nessun commento: